venerdì 28 febbraio 2014

Accettare o non accettare? Questo è un dilemma.


Sudore freddo, insonnia, disturbi intestinali e annessi.. No, non sto leggendo il quadro clinico di un ricoverato all’ospedale, bensì un’anamnesi della vita di un “universitario tipo”. Quando andavo al liceo invidiavo chi già avesse superato quella “fase” e credevo che sarebbe stato bellissimo potersi svegliare a qualsiasi ora la mattina, poter uscire tutte le sere bevendo senza indugio, studiare senza patire l’ansia costante del giorno dopo e senza seguire la scaletta del “diario”.. che cantonata.
La vita “dell’universitario tipo” è fatta di ritmi pazzeschi: confesso che si può (anche) uscire tutte le sere e bere senza indugio, ma la sveglia suona puntuale ogni mattina e soprattutto lo studio non è poi così arbitrario come pensavo. Niente a che vedere con lo stupido pagellino di metà semestre: qua si parla di vita, e di morte. In tre mesi quando si è fortunati si tratta di studiare e ripetere ( e studiare e ripetere e ancora studiare e ancora ripetere fino a qualche ora prima dell’esame) interi programmi, su pagine, su tomi, su antologie di materie diverse che si intrecciano e combinano fino a diventare essenza e linfa stessa della giornata. Lo studio e la ripetizione sono interrotti soltanto dal fischio della caffettiera dopo il pranzo e dal bollitore per il thè delle cinque o dalle telefonate disperate fatte con gli altri che come te stanno patendo e scontando come una pena inflitta questo periodo pieno di angoscia e paura. Si, angoscia e paura. Perché io non ci credo alla leggenda di altri ragazzi “universitari-tipo” che studiano con calma, di quelli che riescono a finire di ripetere fino a due giorni prima dell’esame ed esaurire il loro livello di preparazione/soddisfazione tanto da non studiare il giorno prima dell’esame stesso.
Bella beffa, bella fregatura.. Il quadro clinico del povero “universitario-tipo” sembrerebbe essere già fin troppo sofferente, ma il sacrificio e la disperazione non sono nemmeno la punta dell’iceberg. Quando finalmente, o forse purtroppo, arriva il giorno dell’esame noi nemmeno possiamo immaginare che ci aspettino almeno dalle cinque alle dieci ore di attesa mista ad ansia seduti nella stessa aula dove professori e soprattutto assistenti fanno una vera e propria carneficina. Dopo aver fatto l’appello, i “leoni” chiamano ad uno ad uno gli “agnelli", a volte in ordine sparso ma spesso in ordine alfabetico (andatelo a raccondare al povero sfigato che ha il cognome che comincia per “Z”), per fare uno stillicidio. E’ come un sacrificio.. percorrere quella “navata” che ti immola dritto dritto dentro le fauci di un mostro che può essere a una, a due o addirittura a tre teste ( quindi tre assistenti per chi non avesse seguito la mia immaginazione). Quelli che per te sono secondi (per gli altri invece ore) sono forse gli attimi più importanti almeno di quella sessione: in poche battute si gioca tutto il sacrificio fatto, il caffè consumato, le notti insonni e i fiati sprecati.. In un ben che non si dica arriva il momento in cui l’assistente può c’entrare quell’unico argomento che hai ripetuto bazzicando, o che forse per sbaglio avevi saltato, o per distrazione sottovalutato.. e in un secondo, se non vieni bocciato purtroppo vieni almeno decapitato.. e il voto già scende sotto il 24. Ma devi essere fortunato: l’assistente deve appartenere alla metà “ buonista “ perché se per caso, e mentre lo dico sto toccando il ferro e facendo dieci spergiuri, ti dovesse capitare l’assistente “ stronzo” ( è una definizione, scusate il linguaggio colorito) allora.. allora è bene che fingi un malore, ti “prendi le pezze” e tendi la mano. Poi ti alzi, ti volti, tieni le lacrime, tiri qualche sospiro e.. te ne torni a casa. Il libro tanto ti starà aspettando, non se ne sarà andato. Sarà ancora li, sulla scrivania, come un cane che scodinzola la coda e spera che tu lo accarezzi sul dorso.. E dovrai accarezzarlo, e farlo mangiare, e uscire e giocare.. Ti rimbocchi le maniche, e ricominci da capo..E’ stata una triste visione di come potrebbe andare l’esame. Sono sicuro che per la maggior parte di voi che starete leggendo in realtà l’esame sarà un modo per sfogare una tensione accumulata e che si conclude a lieto fine, con un voto mediocre o superlativo che si stampa sul libretto in modo indelebile e accresce vertiginosamente la propria autostima. Altre volte invece il dramma shakesperiano dell’ accettare o non accettare un voto mediocre vi può far raccogliere le forze sufficienti per essere onesti con voi stessi e riconoscere se un voto basso può essere un modo per superare un esame dove avete studiato poco per fortuna, o un voto immeritato che va rifiutato per ripreparare la stessa materia ma stavolta dimostrando all’assistente e a voi stessi che meritavate di più..Perché la vita di noi universitari è un “pendolo che oscilla” tra l’ansia, lo stress e l’esame: ma comunque la si affronti, la vita, in un modo o nell’altro va avanti fino a raggiungere il traguardo. E qualunque voto finale possa essere, per quanto mi riguarda resta soltanto un numero perché dietro a quella votazione ( più o meno meritata: questo è opinabile) si nascondono le stesse fatiche, le stesse notti insonni, gli stessi sudori freddi e malori intestinali.. si nascondono gli stessi anni a studiare sui libri, e a collezionare esperienze che un giorno ci vedranno protagonisti del lavoro che, spero per tutti, abbiamo sognato e meritato.
-Stefano.


Nessun commento:

Posta un commento